Oggi è il 24 maggio e il Piave che mormorava calmo e placido
il passaggio mi ricorda i tempi della scuola.
Alle medie furono i primi quattro di quella che poi, alle
superiori sarebbe diventata una lunga serie.
4+ una nota in rosso nel tema d’italiano perché avevo
consegnato il tema in bianco.
4+ una nota in rosso nell'ora di musica perché non cantavo
come tutti gli altri alunni, il Piave che mormorava calmo e placido il
passaggio dei primi fanti il 24 maggio.
Mentre studiavo la strada più lunga per tornare a casa da
scuola pensavo con angoscia alla sgridata che mi sarei preso da lì a poco dai miei dovendo fare
firmare due note in un giorno.
Arrivato a casa, dopo avere spiegato il grosso problema che
avevo alla mia mamma, scoppiai a piangere, tra convulsi e singhiozzi, lei nel
frattempo mi aveva preso in braccio.
Mi aveva preso la testa tra le sue mani appoggiandola al
petto, come fanno le mamme, mentre spiegavo che non mi piacevano cantare e
scrivere cose di guerra.
Ricordo come se fossero adesso i suoi "neanche a
me" sussurrato in un orecchio e il bacio e la carezza di mio papà sulla
testa che prima di uscire per tornare in cantiere a lavorare mentre correggeva
la mamma "neanche a noi".
Non glielo ho mai chiesto ne ricordato perché mi piace
immaginare che fosse un segno della loro gratitudine verso un figlio ancora
bambino, per non aver mai fatto i capricci davanti a una busta di cellophane di
carri-armatini e soldatini di plastica.
Non solo perché sapevo che di soldini ce ne erano pochi e
avevo anche due fratellini, soprattutto perché piano piano, un po' alla volta,
stavo crescendo.
Ero già alle medie e non ero più un piscia-a-letto.
Ero un ometto, mi
piaceva immaginare che essere ometto in fondo era anche quello.