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giovedì 26 febbraio 2015
lunedì 23 febbraio 2015
giovedì 12 febbraio 2015
UN SABATO TRANQUILLO AL MUSEO DEL CRETINO
Un
transito in fretta nella città dove abito giusto per il cambio bagaglio; non è
un segreto per chi mi conosce che non nutra un amore particolare sviscerato per
la città dove, per i casi della vita sono finito ad abitare.
Professionalmente
parlando non mi ha mai dato niente, per i casi della vita appunto, ci abito e
basta e qualche volta ci torno a dormire.
Attraverso
il centro tra il mercato degli ambulanti che stanno smobilitando più presto del
solito, persone con le borse della spesa stanno rincasando in fretta, mamme e
papà che vanno a prendere i figli a scuola di fretta.
Anche
il corso è deserto, un signore, (un c.q., un coglione qualsiasi) chiuso nel suo
giaccone di montone, il cappello a tesa larga con la piuma, un flute di
prosecco in una mano e il sigaro nell’altra, all’ora dell’aperitivo irride i
negozianti intenti ad imbottire per proteggerle, le vetrine con gomma piuma
nascosta sotto fogli di giornali e sacchi di plastica chiedendo se si stanno
preparando alla presa della Bastiglia, non sapendo ancora cosa si sta
preparando da li a poco.
Ostaggio
mio malgrado (deve essere una nuova forma di promozione turistica quella di
regalare chiavi in mano per un sabato una città a un gruppo di delinquenti,
teppisti e vigliacchi) in una città messa a ferro e fuoco, rinuncio a partire
perché anche la stazione è presa di mira.
Cercando
come tutti quelli rimasti intrappolati nelle vie del centro, una via di fuga
che mi consenta di tornare a casa, tra la nebbia dei fumogeni, pali divelti
della segnaletica scavalcati, costeggiando vetrine di attività commerciali e
banche sfondate, incrocio una giovane adelante companera, secondo me part
time (ha tutta l’aria di una che, durante la settimana, non bevuta e non fumata
potrebbe essere una normale impiegata, operaia o studentessa) avvolta nel
suo eskimo che puzza di un misto di canna, fumogeni e vino rosso, mi dice
che se la seguo in un portone dentro a un vicolino, in cambio di qualche
spicciolo potrebbe organizzare qualche cosa.
Rientro
a casa dopo più di tre ore, penso che dopo quello che ho visto, se
fosse grandinato con chicchi grandi come palloni da basket i danni
sarebbero stati minori. Accendo
la tv, l’unica della città, quella del cavaliere, trasmette la pubblicità dei
suoi tubi e un concerto di due che suonano, uno il pianoforte e l’altra il
violino.
Riesco
a partire se non l’indomani mattina presto per raggiungere la mia squadra. Sul
treno per Milano ritrovo l’adelante companera che, finita la fiesta
probabilmente sta rientrando a casa.
Non
mi riconosce e non avevo dubbi, questa volta mi racconta che, siccome è
senza biglietto e non ha i soldi, se la seguo nei bagni del treno per qualche
spicciolo potrebbe organizzare qualche cosa.
Viene
trovata senza il biglietto e con il coraggio dei cagasotto (quelli forti nel
branco ma che presi uno ad uno si riempiono le mutande) scoppia a piangere.
Me
ne frego e continuo a leggere il giornale, sugli striscioni nelle fotografie
degli articoli leggo che pagheremo caro che pagheremo tutto e scritte con
richieste di solidarietà.
Sorrido
perché in fondo è vero, a pagare saremo ancora una volta noi, come sempre,
magari anche in comode rate mensili a partire dalle prossime bollette ma sempre
e comunque solo noi.
Anche
sulla solidarietà sono d’accordo, però a chi negli
ospedali non ha potuto ricevere il conforto dei parenti perché a mezzi pubblici
e ai taxi era impossibile circolare ed a chi ha avuto in un giorno solitamente
dedicato al relax e al riposo, un sabato di ordinaria follia
preannunciata e largamente prevedibile, in una città che mi piace sempre di
meno, l'attività commerciale distrutta e a chi ha visto i sacrifici di una vita
andati in un fumo che si confonde con quello delle bombe incendiarie e dei
lacrimogeni.venerdì 6 febbraio 2015
MAMMA BUTTA LA PASTA
Guarda come viene giù.
Il Galimba ha detto che il piano neve è pronto,
siamo in una botte di ferro.
O è meglio a cavallo?
C’è una cosa che devo ancora capire, se in
certe occasioni è meglio stare, perché più al sicuro in una botte di ferro o a
cavallo.
Nevica e, siccome non mi fido, mamma butta la
pasta che oggi non torno
a casa a mangiare.
Primo
perché appunto nevica, secondo, sto bene qui in mezzo ai boschi tra le montagne,
terzo perché non mi piace la pasta alla norma!
Troppo
complicata, la pasta e anche tutte quelle postille: mettere a norma, sarebbe
buona norma, per tua norma!
Norma mi
suona un po’ troppo come regole da rispettare, leggi da imporre, precetti da
mettere in pratica.
E allora in
questi casi la pasta alla norma ‘’comme il faut’’?
A parte il fatto che non mi piacciono né la
ricotta né le melanzane, ognuno dovrebbe farsela un po’ come gli pare.
Io mi fermo qui su all’Orda, mangio al baretto
da Terry su a 800 metri dopo la curva, un piatto semplice, di facile
preparazione, alla portata di tutti.
Occorrente
per due persone:
Terry
Un
baretto all’Orda di Sopra su a 800 metri dopo la curva, immerso nel silenzio e
nel verde e chiuso per turno.
Un
appartamento sopra il baretto
Un comodo
divano
Un tavolino,
Un pc
colpito da un virus
Una tv
Una radio
che gracchia sintonizzata su Radio Alta.
Voglia di
fare niente e di starsene tranquilli e in relax.
Le luci
soffuse
Un
telefono a portata di mano (perché metti mai che chiami la sciura Zombelli.)
Preparazione:
Lasciare
fuori dalla porta ansie, preoccupazioni.
Scoprire
l’importanza dell’attesa in compagnia della tv, di una buona buldogg-pale-ale-extra-strong
e qualche ziga intanto che lei, con la corriera va a pregare nella chiesina dall’altra
parte della valle.
Andare a
prenderla quando ritorna, dopo circa tre ore alla fermata.
Passare
insieme dalla Legler a
prendere il pan carré per i toast, il salame ungherese (nel caso non ci sia va
bene anche il salame di tipo Milano) della fontina valdostana e del paté
alle olive.
Fermarsi
dal Lino a prendere anche due tranci di pizza, una margherita e l’altra alle
acciughe.
Tornare a
casa, servire il tutto (tranci di pizza, toast al salame, fontina e paté di
olive) con calma sul tavolino vicino al divano, perché tanto di tempo ce n’è.
Accompagnare con del buon rosso che scalda mentre si guarda l’Era glaciale, un
film in tema con la temperatura di fuori.
Non
rispondere al telefono alla sciura Zombelli.
Mischiarsi
su bene.
Svegliarsi
il giorno dopo con la radio che gracchia sintonizzata su Radio Alta, Stiracchiarsi,
sorridere alla vita che è la cosa più bella che ci sia, anche quando nevica e, quando
capitano giornate cosi, anziché imprecare, riconoscere di essere proprio delle
persone fortunate.
Carlo Feroldi – www.carloferoldi.weebly.com
Riproduzione Riservata - J Di calcio e d’altre nuvole
Carlo Feroldi – www.carloferoldi.weebly.com
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